Dick e il naufragio (Verdiani)

Appena sceso dall’albero, stilai una lista delle mie priorità giornaliere che comprendeva la ricerca di viveri e la costruzione di un adeguato rifugio per la notte e, dopo aver fatto ciò, passai all’azione. Trovai delle palme  ricche di noci di cocco a circa due chilometri a ovest dell’albero sul quale avevo dimorato durante la notte e, arrancando faticosamente, riuscii ad arrampicarmi su una palma e a raccoglierne una dozzina, con esse potevo nutrirmi per circa sei giorni. Successivamente passai alla costruzione della capanna. Tagliai con il mio coltello tanti piccoli ramoscelli di arbusti e li legai con delle foglie di palma in modo da formare una rurale abitazione in grado di proteggermi dalle interperie. Impiegai tre giorni a costruirla: notti comprese. Ormai avevo finito tutti i lavori necessari alla mia sopravvivenza e, in quel momento, quando il tempo non era più occupato da lavori manuali, mi accorsi di quanto fossi solo.
La depressione mi avvolse, si insinuò nei meandri più profondi della mia anima, e si poteva riconoscere in ogni mio gesto. Ne fui condizionato negativamente, persi la voglia di mangiare, di muovermi…. di vivere. Decisi di porre fine alla mia sofferenza: volevo lanciarmi dagli scogli con grosse pietre legate alle mani e ai piedi, quando vidi in lontananza una piccola piroga, con a bordo due persone. Un bagliore di speranza tornò ad illuminare la mia vita cupa e triste. Richiamai la loro attenzione e loro si avvicinarono , sempre in allerta. Tentai di comunicare con loro, ma la mia lingua non era da loro compresa. Mi portarono su un isolotto vicino dove stanziava la loro tribù e mi scortarono in una grossa capanna, centrale rispetto alle altre e molto più elevata, ove risiedeva il loro capo. Lui mi parlava, ma di ciò che diceva non capivo niente; la mia attenzione fu catturata dagli occhi di una ragazza seduta accanto a lui, probabilmente sue figlia: fu subito colpo di fulmine. Decisi di rimanere con loro e le cose migliorarono: imparai a lavorare con loro, inoltre ogni tanto io e la figlia del capo, ci vedevamo di notte e io la battezzai con il nome di Angela, il nome di mia nonna a cui tenevo molto. Io e Angela ci fidanzammo pochi mesi dopo e, sapendo che suo padre non lo avrebbe mai accettato, una notte prendemmo una piroga e partimmo verso le coste venezuelane. Lì, ci  imbarcammo in una nave diretta in Inghilterra la mia terra natia e, sbarcati, raggiungemmo la mia famiglia in città. All’arrivo fummo accolti con molti festeggiamenti perché pensavano che fossi morto e noi esprimemmo il nostro desiderio di sposarci. Le nozze furono celebrate su una spiaggia al tramonto. Ora abbiamo due figli di sette e nove anni e se non fosse stato per Angela, io ora giacerei sul fondo del mare.